Le Mante - animali fantastici e dove trovarli
- Matteo Oliveri
- 19 ago
- Tempo di lettura: 41 min
Aggiornamento: 9 set
Introduzione generale
Le mante sono tra le creature marine più grandi e affascinanti, appartenenti alla classe dei pesci cartilaginei (condroitti) e al gruppo dei batoidei (razze e affini). In particolare le mante fanno parte della famiglia Mobulidae, note anche come “diavoli di mare” per via dei lobi cefalici che ricordano corna, un appellativo che tradisce l’immaginario collettivo passato ma che contrasta con la loro indole docile. Questi giganteschi animali svolgono un ruolo ecologico fondamentale come filtratori degli oceani: si nutrono di plancton, contribuendo a mantenere l’equilibrio delle comunità planctoniche e collegando i livelli inferiori e superiori della catena alimentare marina. La loro presenza è spesso indice di acque ricche di vita e di ecosistemi marini in buona salute. Nell’immaginario popolare odierno, le mante sono considerate “giganti gentili”: incuriosiscono subacquei e biologi per le loro evoluzioni eleganti e per l’apparente “volo” sotto la superficie dell’acqua. Non a caso, immergersi con una manta che compie piroette e volteggi maestosi è un’esperienza al vertice delle aspirazioni di molti appassionati del mare.
In questo contesto, l’arcipelago delle Maldive occupa un posto speciale. Le Maldive, circondate da calde acque tropicali ricche di nutrienti, ospitano stabilmente tutto l’anno una popolazione di mante tra le più numerose e studiate al mondo . In particolare, le mante della barriera corallina abbondano nelle sue lagune e canali, tanto che il Paese è considerato un vero hotspot globale per l’osservazione e la ricerca su questi animali. Si stima che la popolazione maldiviana di mante di barriera sia la più grande conosciuta, con oltre 5.000 individui identificati finora . Questo dato straordinario fa delle Maldive un “laboratorio naturale” privilegiato, dove biologi marini e organizzazioni come il Manta Trust conducono ricerche di punta sulla biologia, l’ecologia e la conservazione delle mante. Nei paragrafi seguenti esploreremo in dettaglio la biologia di questi animali, concentrandoci sulle specie presenti alle Maldive, in una trattazione scientifica completa e coerente che toccherà tassonomia, morfologia, alimentazione, comportamenti sociali, riproduzione, dinamiche di popolazione, ruolo ecologico, minacce e sforzi di conservazione. Ogni sezione si collegherà naturalmente alla successiva, componendo un quadro organico della vita delle mante maldiviane e delle sfide che affrontano in un mare che, per loro, è insieme casa e rifugio.
Tassonomia e specie
Le mante appartengono all’ordine Myliobatiformes, lo stesso di aquile di mare e razze, ma si distinguono da queste ultime per il loro stile di vita pelagico e filtratore. La tassonomia del gruppo ha subito revisioni negli ultimi anni: tradizionalmente si usava il genere Manta per designare le grandi mante, ma studi genetici recenti hanno incluso questo genere in Mobula, un genere che comprende anche le cosiddette mobule o razze diavolo più piccole . Attualmente sono riconosciute due specie principali di mante giganti: la manta di barriera (Mobula alfredi, precedentemente Manta alfredi) e la manta oceanica gigante (Mobula birostris, già Manta birostris) . La distinzione tra queste due specie è relativamente recente: fino al 2009 si pensava esistesse un’unica specie di manta gigante, ma ricerche morfologiche e genetiche hanno confermato che la manta di barriera è una specie separata dalla manta oceanica . La Mobula alfredi è leggermente più piccola e frequenta habitat costieri e reef corallini, mentre Mobula birostris raggiunge dimensioni maggiori e ha abitudini più pelagiche e migratorie.
Mobula alfredi

Mobula birostris

Oltre a queste due grandi mante, il genere Mobula comprende almeno altre sette specie di “diavoli di mare” più piccoli. Queste mobule minori – come la Mobula kuhlii (mobula dalle pinne corte) e la Mobula japanica (mobula spinosa) – condividono con le mante giganti la forma appiattita e le pinne pettorali allargate, ma hanno dimensioni molto inferiori e spesso differenze anatomiche come la presenza di una coda più sviluppata o di un aculeo in alcune specie . Nelle Maldive, oltre alle due mante maggiori, sono state segnalate anche alcune di queste mobule più piccole: ad esempio M. kuhlii, che raggiunge circa 1–1,2 m di ampiezza alare, e M. japanica, che può arrivare a 3 m ed è riconoscibile per un’aculeo alla base della coda e una banda scura sulla testa . Queste piccole mobule vengono avvistate più raramente e spesso da subacquei esperti, ma arricchiscono la biodiversità locale dei grandi pelagici filtratori.
Specie presenti alle Maldive: le acque maldiviane ospitano stabilmente la manta di barriera (Mobula alfredi), che è di gran lunga la specie più comune in tutte le regioni dell’arcipelago. Le mante di barriera si incontrano lungo le scogliere coralline interne ed esterne di quasi ogni atollo: studi fotografici hanno catalogato migliaia di individui distribuiti in vari atolli, con concentrazioni notevoli in luoghi come la baia di Hanifaru (Atollo di Baa) e la laguna di Maamunagau (Atollo di Raa) . Proprio in queste zone, dove le correnti convogliano grandi quantità di plancton, si registrano i raduni più spettacolari di mante di barriera. La manta oceanica gigante (M. birostris), invece, alle Maldive è stata a lungo ritenuta rara; solo di recente si è scoperto che esiste una popolazione stagionale significativa di mante oceaniche nelle acque meridionali del Paese . In particolare attorno all’isola di Fuvahmulah (all’estremo sud) si raduna stagionalmente un gran numero di mante oceaniche, facendo di questo sito un nuovo punto focale per l’osservazione della specie. Oltre 1.000 individui di manta oceanica sono già stati identificati alle Maldive, che risultano così ospitare la terza popolazione mondiale conosciuta di M. birostris (dopo quelle di Ecuador/Perù e dell’arcipelago di Revillagigedo in Pacifico) . Queste mante oceaniche frequentano le Maldive soprattutto in alcuni mesi (con picchi di avvistamenti in aprile a Fuvahmulah) e sembrano spostarsi fuori dall’arcipelago in altri periodi, seguendo rotte migratorie ancora in fase di studio .
Morfologia e dimorfismo sessuale
L’anatomia delle mante riflette la loro vita da nuotatrici planctivore pelagiche. Il corpo ha forma romboidale, estremamente appiattita dorso-ventralmente, con enormi pinne pettorali triangolari che si estendono ai lati conferendo l’aspetto di “ali”.

L’ampiezza del disco (la distanza tra le estremità delle pinne pettorali) è impressionante: nella manta di barriera adulta è in media attorno ai 3–3,5 metri, con esemplari che possono superare i 4 metri , mentre nella manta oceanica si registrano comunemente dimensioni maggiori, fino a circa 6–7 metri di apertura alare . Alcune fonti riportano misure massime eccezionali: ad esempio, per M. alfredi sono stati citati 5–5,5 m in rari casi e per M. birostris quasi 7 m . Il peso di questi giganti può avvicinarsi o superare la tonnellata (una manta oceanica di 6–7 m può pesare fino a ~1.200–1.500 kg, mentre una manta di barriera attorno ai 4 m pesa diverse centinaia di chili). Nonostante la mole, le mante hanno uno scheletro leggero cartilagineo e corpi idrodinamici privi di carapace osseo, adattamenti che le aiutano a “volare” nell’acqua con grazia sorprendente.
Caratteri distintivi: la testa delle mante è ampia e appiattita, con una bocca terminale rivolta in avanti (caratteristica che distingue le mante dalle altre mobule minori, la cui bocca è più ventrale). Ai lati della bocca sporgono due lobi cefalici mobili simili a “corna” – da cui il nome inglese devil ray – che in realtà fungono da timoni e convogliano l’acqua ricca di plancton verso la bocca spalancata durante l’alimentazione. Gli occhi sono posizionati lateralmente ai margini della testa, mentre dietro di essi si aprono grandi spiracoli (vestigia respiratorie tipiche delle razze, sebbene nelle mante l’acqua respiratoria venga incanalata prevalentemente attraverso la bocca). Sulla superficie ventrale, le mante presentano cinque paia di fessure branchiali in posizione vicina al capo: dietro di esse si trovano le strutture filtranti chiamate branchiospine (o filtri branchiali), sottili lamelle che trattengono le particelle di cibo e lasciano uscire l’acqua. Le branchiospine, di colore scuro uniforme, sono fuse in una sorta di griglia all’interno delle branchie , costituendo l’“attrezzo” chiave per la dieta filtratrice della manta (come vedremo nel prossimo capitolo). Il corpo termina con una coda sottile e relativamente corta, priva di pinna caudale definita. Importante: a differenza di molte razze, le mante non possiedono alcun aculeo velenoso sulla coda; sono quindi completamente innocue per l’uomo (un tratto che, unito al loro comportamento mite, le rende compagne di immersione sicure e amatissime).
Il dorso delle mante mostra una livrea caratteristica utile per l’identificazione: in M. birostris (manta oceanica) il disegno dorsale tende a formare una macchia bianca a forma di “T” sulle spalle, mentre in M. alfredi (manta di barriera) le zone chiare e scure si fondono maggiormente creando un motivo più a “V” o “imbuto” . Il colore di fondo dorsale è nero o grigio scuro, con variabili macchie bianche; esistono anche individui melanici quasi totalmente neri e, più raramente, esemplari molto chiari. Il lato ventrale è prevalentemente bianco in entrambe le specie, punteggiato però da un pattern di macchie scure unico per ogni individuo, concentrato soprattutto tra le branchie, sull’addome e lungo i bordi posteriori delle “ali” . Questo disegno a pois sul ventre è l’equivalente di un’impronta digitale: rimane invariato per tutta la vita dell’animale e permette ai ricercatori di distinguere e seguire ogni manta negli anni . Ad esempio, i biologi del Manta Trust hanno catalogato migliaia di mante maldiviane proprio fotografando l’addome: confrontando le foto si può risalire a individui noti e ricostruirne movimenti e storia riproduttiva.
Dimorfismo sessuale: esternamente, maschi e femmine di manta hanno aspetto molto simile per dimensioni e colore, ma vi è un dettaglio inequivocabile che li distingue: la presenza dei pterigopodi (clasper in inglese) nei maschi. Gli pterigopodi sono due appendici cilindriche allungate, derivate dalla modificazione interna dei margini delle pinne pelviche, situate ai lati dell’apertura cloacale. Nei maschi adulti questi organi copulatori sporgono chiaramente oltre le pinne pelviche , mentre nelle femmine la regione pelvica mostra solo le pinne senza estroflessioni (ad eccezione della cloaca centrale).

In pratica, osservando la manta dal ventre, il maschio si riconosce subito per i due “prolungamenti” posteriori simmetrici, assenti nelle femmine . Nei maschi giovani gli pterigopodi sono inizialmente piccoli, ma crescono e si allungano con la maturità sessuale. Oltre a questo carattere, le femmine tendono a raggiungere dimensioni leggermente superiori ai maschi della stessa età, ma la differenza non è drastica. Un altro possibile segno indiretto sono le cicatrici da morso sulle pinne pettorali: durante l’accoppiamento, infatti, il maschio morde il margine dell’ala della femmina per aggrapparsi (come descritto più avanti), e le femmine mature spesso presentano sulle “ali” cicatrici semicircolari residuo di quei serraggi. In sintesi, però, l’unico indicatore certo del sesso nelle mante sono gli pterigopodi: un dettaglio anatomico non evidente a primo sguardo per l’occhio inesperto, ma fondamentale per i biologi che studiano le popolazioni distinguendo i maschi dalle femmine.
Dal punto di vista funzionale, la morfologia delle mante è un capolavoro di adattamento al nuoto e alla vita pelagica. Il grande “disco” offre portanza nell’acqua come un’ala in aria, permettendo all’animale di planare con movimenti fluidi delle pinne pettorali. Nonostante non abbiano una coda propulsiva sviluppata, le mante compensano con ampie battute “alari” e con la forma idrodinamica. La muscolatura delle pinne pettorali è potente e consente accelerazioni notevoli, ma le mante possono anche avanzare lentamente sfruttando le correnti e risparmiando energia. La combinazione di ampio raggio d’azione (grazie alle grandi pinne) e controllo fine (grazie ai lobi cefalici che orientano il flusso d’acqua) rende le mante capaci di compiere manovre agili: le si osserva facilmente virare, compiere avvitamenti e capovolte nel mezzo di un banco di plancton, o librarsi immobili sopra una stazione di pulizia controcorrente muovendo solo leggermente le “ali”. A coronamento di queste caratteristiche, va ricordato che le mante possiedono il cervello più grande (in rapporto al corpo) tra tutti i pesci noti: ciò potrebbe essere correlato a una complessa elaborazione sensoriale e comportamentale, di cui fanno parte anche le interazioni sociali e cognitive che approfondiremo più avanti.
Prima di passare ai comportamenti, è utile ribadire come struttura e funzione vadano di pari passo: la morfologia filtratrice appena descritta trova il suo senso nel tipo di alimentazione altamente specializzato delle mante. Non a caso, proprio le modalità con cui questi animali ingeriscono il cibo microscopico rappresentano uno degli aspetti più affascinanti del loro repertorio comportamentale, come vedremo nella sezione seguente.
Alimentazione e comportamento trofico
Le mante sono organismi planctivori filtratori: la loro dieta consiste principalmente di zooplancton, cioè minuscoli animali marini sospesi nell’acqua, integrato talvolta da piccoli pesci e larve. Nonostante le dimensioni gigantesche, quindi, le mante si cibano di prede minuscole – soprattutto copepodi, krill, mysis, larve di crostacei e di pesci – che riescono a intrappolare grazie a una tecnica di filtraggio estremamente efficiente . Durante l’alimentazione, la manta nuota con la bocca spalancata come un’enorme rete a strascico vivente: l’acqua entra nella cavità orale spinta sia dall’avanzamento sia dall’azione “convogliatrice” delle pinne cefaliche, che l’animale distende a forma di imbuto per incanalare quanta più acqua possibile verso la bocca. All’interno, l’acqua passa attraverso le branchiospine filtranti situate sulle branchie, le quali intrappolano il plancton e le particelle alimentari sulle loro sottili lamelle. Periodicamente la manta chiude la bocca ed espelle l’acqua filtrata attraverso le fessure branchiali, deglutendo il cibo rimasto intrappolato sui filamenti. Questo meccanismo di filtrazione a pettine è altamente specializzato e permette alle mante di trattenere organismi di pochi millimetri o centimetri; si stima che una manta possa filtrare decine di migliaia di litri d’acqua all’ora quando si alimenta attivamente. Le branchiospine, pur robuste, vanno incontro a usura e vengono periodicamente rinnovate (da notare che proprio queste strutture purtroppo sono ricercate nel mercato asiatico per rimedi tradizionali, come vedremo in tema di minacce).
Tecniche di alimentazione: a seconda della concentrazione e distribuzione del plancton, le mante adottano diversi comportamenti alimentari. In condizioni normali, spesso si alimentano individualmente, nuotando in linea retta o con traiettorie sinuose attraverso le acque ricche di plancton e tracciando ampie volute. Quando però incontrano una densa “nuvola” di plancton in un’area ristretta (ad esempio in una baia o controcorrente a un passo dentro l’atollo), le mante mettono in atto uno spettacolare comportamento chiamato feeding loop o somersault feeding. In pratica, iniziano a compiere capriole ripetute su sé stesse, ruotando verticalmente a 360° con la bocca sempre aperta: così facendo restano all’interno della zona di alta concentrazione di cibo, “setacciando” più volte lo stesso volume d’acqua ricco di prede . Immagini subacquee mostrano mante che eseguono trottole una dopo l’altra, con grazia sorprendente per animali così grandi, allo scopo di non disperdere un banco di krill scoperto in un punto preciso. Un altro comportamento osservato quando molte mante si alimentano insieme è il cosiddetto “feeding train” o processione: le mante nuotano una dietro l’altra formando una fila, seguendo tutte lo stesso circuito circolare. In questo modo creano una sorta di vortice o “ciclone” all’interno del quale il plancton rimane intrappolato, facilitando l’ingestione . Questo comportamento cooperativo – o perlomeno mutuamente vantaggioso – può evolvere in raduni molto numerosi nei siti migliori: nelle Maldive, ad esempio, nella piccola baia di Hanifaru (nell’atollo di Baa) sono state documentate aggregazioni alimentari di decine e decine di mante contemporaneamente (anche oltre un centinaio in condizioni eccezionali) . Durante questi eventi, chiamati di mass feeding, le mante sembrano “dimenticare” ogni territorialità e danzano sfiorandosi l’una con l’altra, tutte intente a rimpinzarsi del plancton stagionale abbondante. L’acqua in tali frangenti diventa visibilmente torbida e ricca di particelle, al punto che i subacquei descrivono la scena come uno spettacolo surreale: decine di ombre alate che appaiono e scompaiono nella zuppa planctonica verde-azzurrastra . Al contrario, presso le stazioni di pulizia (dove il plancton è scarso) si osservano meno mante insieme, ma l’acqua è limpida e consente di apprezzare in piena luce i loro movimenti aggraziati .
Le abitudini alimentari delle mante sono strettamente legate alla produttività dell’ecosistema. Nelle Maldive, dove le correnti monsoniche determinano cicli stagionali di abbondanza planctonica, le mante seguono letteralmente il cibo da una parte all’altra degli atolli. Durante la stagione secca invernale (circa dicembre–aprile), i venti da nord-est e le relative correnti fanno sì che il plancton si accumuli soprattutto sul lato ovest degli atolli: in quei mesi le mante maldiviane si concentrano sui versanti occidentali, nei noti siti di alimentazione e pulizia posti lungo i reef esterni ad ovest . Con l’arrivo della stagione umida estiva (maggio–novembre) il regime si inverte, le correnti provengono da sud-ovest e spingono nutrienti e plancton verso i lati orientali degli atolli: coerentemente, le mante “traslocano” e vengono osservate prevalentemente sui reef orientali in quel periodo . Questo pattern migratorio intra-atollo è stato documentato da vari progetti di foto-identificazione e monitoraggio e dimostra come le mante di barriera siano sensibili anche a variazioni relativamente piccole nella disponibilità di cibo. In generale, le mante sfruttano le dinamiche oceanografiche per massimizzare l’efficienza alimentare: si radunano nelle zone di upwelling (risalita di acque profonde ricche di nutrienti), nelle strette pass dove le maree concentrano il plancton, o nelle baie ridossate dove le correnti convogliano il plankton soup. Di notte, quando molto zooplancton compie la migrazione verticale verso la superficie, le mante possono approfittarne per alimentarsi nei pressi della colonna d’acqua superficiale; celebri sono i casi in cui si avvicinano a fonti di luce artificiale (es. luci dei moli o di barche) che attirano il plancton, girando in tondo sotto ai lampioni marini come gigantesse falene acquatiche.
Va notato che la nicchia trofica delle mante – grandi filtratori planctivori di acque aperte – è condivisa solo da pochissimi altri giganti del mare, come gli squali balena. Ciò significa che le mante competono poco con la maggior parte dei pesci predatori (che inseguono prede più grandi) e anzi rappresentano un importante controllo top-down sulle popolazioni planctoniche. Pur non “pascolando” il plancton al punto da regolarne drasticamente l’abbondanza, esse ne sfruttano i picchi e trasferiscono quella biomassa ai livelli trofici superiori. Inoltre, il loro movimento continuo le porta a rimescolare colonne d’acqua diverse e a collegare tra loro habitat (ad esempio, una manta che si nutre al largo e poi rilascia escrezioni vicino alla barriera corallina può fertilizzare quest’ultima con nutrienti derivati dal largo). Questo ruolo ecologico di collegamento e filtrazione rende le mante elementi preziosi per la salute dell’ecosistema marino, e in definitiva ancora una ragione in più per tutelarle. Nel prossimo capitolo ci addentreremo nei comportamenti sociali e nei pattern di movimento di questi animali: capiremo come, dove e perché le mante si incontrano, si spostano in gruppo o da sole, e come l’alimentazione appena descritta si integra con il resto del loro stile di vita.
Comportamento sociale e aggregativo
A dispetto della loro natura apparentemente solitaria, le mante mostrano un ventaglio di comportamenti sociali e aggregativi complessi, basati soprattutto su esigenze funzionali (alimentazione, pulizia, riproduzione) ma non privi di spunti intriganti che suggeriscono una certa interazione fra individui. In generale le mante non formano gruppi stabili a lungo termine come i mammiferi sociali; tuttavia, esse tendono a riunirsi in siti specifici e in determinati periodi, dando luogo a aggregazioni temporanee che possono essere spettacolari. Abbiamo già visto il caso delle aggregazioni alimentari di massa, dove decine di mante cooperano per sfruttare una risorsa effimera. Un altro tipo di raduno avviene nelle “cleaning stations” (stazioni di pulizia): sono particolari pinnacoli o secche sul reef dove piccoli pesci pulitori – ad esempio labridi pulitori (Labroides dimidiatus) o gobidi – rimuovono parassiti e tessuti morti dalla pelle e dalle branchie delle mante. Questi posti funzionano come “spa” per le mante e spesso attirano gli stessi individui regolarmente. Alle Maldive, praticamente ogni atollo ha più cleaning station note, solitamente su reef poco profondi all’ingresso dei canali o lungo il margine interno delle scogliere. Le mante visitano tali stazioni anche quotidianamente: si avvicinano planando lentamente, spesso formando un “circuito d’attesa” sopra il punto in cui i pesci pulitori operano, poi una o due alla volta scendono sul posto esatto e vi stazionano quasi immobili mentre i piccoli pesciolini svolgono il loro lavoro di pulizia su pinne, bocca, branchie e pelle. Si possono vedere 5–10 mante che ruotano pazientemente sopra una cleaning station, quasi in coda per il servizio; alcune compiono cerchi in attesa che arrivi il proprio turno, altre si incrociano con grazia millimetrica scambiandosi la posizione. Durante queste sessioni, che possono durare diversi minuti per individuo, le mante spesso “socializzano” fra loro: non sono rare interazioni come leggeri contatti pettorali, inseguimenti giocosi, oppure semplicemente il ritrovarsi dei medesimi individui (secondo gli studi di foto-ID) sugli stessi siti negli stessi giorni . Ciò suggerisce che le mante abbiano una vita sociale di basso livello, in cui riconoscono conspecifici e possono mostrare preferenze di associazione. Ricercatori alle Maldive e altrove hanno riscontrato che alcune coppie di mante si rivedono insieme più spesso del caso, segno di possibili affinità o semplicemente di abitudini migratorie coincidenti.
Le stazioni di pulizia, oltre a offrire benefici sanitari, hanno anche una dimensione “ludica” e termica: le mante spesso vi sostano non solo per farsi ripulire ma anche per incontrare altre mante e scaldarsi. Studi nell’atollo di Laamu indicano che queste secche fungono da veri hub sociali e ambientali: dopo immersioni profonde in acque più fredde, le mante tornano sul reef superficiale dove l’acqua è calda e approfittano per farsi pulire e per interagire con i propri simili . Si tratta quindi di luoghi nevralgici in cui è più probabile osservare comportamenti sociali: ad esempio, in prossimità delle cleaning station avvengono anche i primi approcci dei rituali di corteggiamento (mating trains), come vedremo nel capitolo successivo.
Dal punto di vista delle migrazioni e movimenti, le mante di barriera mostrano una spiccata fedeltà ai siti all’interno di una regione, ma allo stesso tempo flessibilità nel muoversi tra atolli in funzione delle condizioni ambientali. Alle Maldive, come accennato, le mante di barriera non abbandonano l’arcipelago: finora non risultano spostamenti di M. alfredi maldiviane verso altre nazioni o attraverso alto mare, segno che la popolazione è residente e trova all’interno del Paese tutto il necessario . Tuttavia, all’interno delle Maldive le foto-identificazioni hanno documentato spostamenti inter-atollo: alcune mante sono state viste in atolli differenti a distanza di mesi, evidenziando che questi pesci possono percorrere decine o centinaia di chilometri seguendo i cambi stagionali . Ad esempio, una manta identificata nell’atollo di North Male è stata poi fotografata nell’atollo di Ari e successivamente in quello di Baa, suggerendo un circuito di movimento probabilmente legato alla ricerca di plancton o siti di riproduzione. La migrazione stagionale est-ovest all’interno dello stesso atollo (descritta in precedenza) è un comportamento consolidato, mentre su scala più ampia non tutte le mante compiono lunghi viaggi: alcune appaiono essere residenti di un singolo atollo per anni, specialmente se quell’atollo offre buone condizioni alimentari e di pulizia in ogni stagione. Ad esempio, l’atollo di Addu (il più meridionale) ha una popolazione locale di mante di barriera che raramente vengono osservate altrove, forse isolata dalle barriere geografiche e dalle correnti circostanti.
Le mante oceaniche (M. birostris) mostrano invece tendenze migratorie più accentuate: essendo pelagiche, sono capaci di percorrere lunghe distanze in mare aperto. Nel caso delle Maldive, i rilevamenti (ancora in corso) indicano che le mante oceaniche presenti a Fuvahmulah potrebbero viaggiare ben oltre le acque maldiviane una volta terminata la stagione locale . Ciò pone delle domande sul collegamento con popolazioni di altri paesi (ad esempio Sri Lanka, dove purtroppo queste mante vengono pescate) . Comprendere le rotte migratorie è cruciale: per ora sappiamo che a Fuvahmulah, tra gennaio e maggio, arrivano molte mante oceaniche per poi sparire nei restanti mesi – forse dirette verso sud o verso aree di upwelling stagionale nell’Oceano Indiano centrale.
Comportamenti particolari: oltre ai grandi raduni alimentari e di pulizia, le mante esibiscono altre azioni degne di nota. Ad esempio, non di rado le si osserva saltare fuori dall’acqua e ricadere con un tonfo sonoro. Questo comportamento, comune anche alle mobule più piccole, potrebbe avere diverse funzioni: liberarsi di parassiti, comunicare con altri individui tramite il rumore, o forse persino gioco. Alle Maldive i balzi delle mante sono stati segnalati, sebbene meno frequentemente che in altri luoghi: potrebbero avvenire soprattutto di notte o in zone poco frequentate, risultando quindi meno documentati. Un’altra osservazione è che le mante sembrano avere periodi di riposo relativo: pur non potendo fermarsi sul fondo come fanno le razze bentoniche (devono mantenere il flusso d’acqua sulle branchie), le mante riducono il metabolismo e fluttuano in corrente quasi in stasi, ad esempio dopo essersi nutrite abbondantemente. Durante questi momenti possono essere particolarmente vulnerabili ai disturbi esterni (predatori o umani).
In termini di gerarchia sociale, non si conoscono strutture rigide tra le mante – non ci sono “leader” o difesa di territorio se non temporanea. Tuttavia, alcune ricerche suggeriscono che le femmine gravide tendono ad occupare posizioni privilegiate alle cleaning station, forse perché hanno maggior necessità di pulizia o desiderano evitare scontri accidentali. I maschi adulti spesso pattugliano le aggregazioni in cerca di femmine disponibili all’accoppiamento, e in presenza di una femmina ricettiva possono diventare competitivi tra loro (come si vedrà nella sezione riproduttiva, fino a 20–30 maschi possono inseguire una singola femmina in calore). Al di fuori del contesto riproduttivo, però, le mante appaiono tolleranti le une con le altre: non presentano comportamenti aggressivi intraspecifici marcati. Anzi, l’assenza di denti robusti (hanno solo dentelli filtranti ridotti) e la dipendenza da risorse diffuse come il plancton rende poco vantaggiosa qualsiasi aggressione tra loro. Di conseguenza, l’interazione sociale delle mante è improntata a una pacifica condivisione degli spazi chiave (siti di alimentazione e pulizia) e a brevi incontri magari finalizzati allo scambio di informazioni (si ipotizza che possano apprendere l’ubicazione di risorse osservandosi a vicenda) o al confronto su potenziali partner.
In conclusione, le mante alternano fasi solitarie, in cui vagano indipendentemente nel blu alla ricerca di cibo disperso, a fasi gregarie, in cui traggono vantaggio dalla compagnia di altri individui per alimentarsi, ripulirsi o accoppiarsi. Questa natura duplice richiede ai ricercatori approcci di studio diversi: dal tracking satellitare dei movimenti individuali su larga scala alla social network analysis delle associazioni nelle aggregazioni locali. Le conoscenze fin qui acquisite alle Maldive delineano un animale flessibile, capace di grandi viaggi ma anche di sorprendente attaccamento a siti specifici, e dotato di una vita sociale più ricca di quanto la sua fama di “gigante solitario” lasciasse supporre. Questi aspetti sociali introducono perfettamente il tema successivo: la riproduzione delle mante, un capitolo dove interazioni e movimenti convergono nel perpetuare il ciclo vitale di queste magnifiche creature.
Riproduzione e ciclo vitale
La riproduzione delle mante è un processo affascinante ma ancora poco osservato direttamente, data la difficoltà di seguire questi animali in mare aperto durante i corteggiamenti e il lungo intervallo tra le nascite. Le evidenze raccolte finora delineano una strategia K selezionata: pochi piccoli, cure parentali indirette (attraverso la gestazione) e investimenti energetici elevati per ogni prole.
Corteggiamento – i “manta trains”: Il rituale di accoppiamento delle mante inizia con spettacoli di corteggiamento collettivo noti come mating trains (treni nuziali). Quando una femmina entra in estro ed è pronta all’accoppiamento, rilascia segnali chimici (feromoni) nell’acqua che attirano i maschi nei dintorni . Ben presto, attorno alla femmina si radunano numerosi maschi, talvolta una ventina o più contemporaneamente, dando vita a un inseguimento serrato . La femmina guida il gruppo nuotando con vigore e compiendo improvvise virate, salite in superficie e discese in profondità; i maschi la seguono in formazione, cercando di non perdere il passo. Lo scopo di questo comportamento sembra duplice: da un lato, la femmina “mette alla prova” i maschi, forzandoli a spendere energie e dimostrare resistenza (solo i più vigorosi riusciranno a starle dietro a lungo); dall’altro, il gruppo di maschi in competizione reciproca la stimola a ovulare al momento giusto. Nel corso di ore, o persino giorni, la maggior parte dei maschi stanchi rinuncia, riducendo il treno progressivamente . Si è tentati di pensare che alla fine “l’ultimo maschio rimasto” sia quello che si accoppierà, ma osservazioni a Kona (Hawaii) e altrove indicano che non è sempre così lineare: talvolta dopo che resta un solo corteggiatore, un altro maschio può sopraggiungere e avvenire un’ulteriore fase di inseguimento . In ogni caso, quando giunge il momento propizio (forse determinato dalla femmina quando rallenta la fuga segnalando accettazione), ha luogo l’accoppiamento vero e proprio.
Accoppiamento: La manta maschio si avvicina alla femmina dalla parte ventrale, afferrandola con un morso saldo sul margine di una delle pinne pettorali – di solito all’altezza dell’ascella pettorale. Questo morso (innocuo ma tenace, spesso lascia un’impronta semicircolare temporanea) serve al maschio per ancorarsi dato che deve portarsi fianco a fianco sotto la femmina. Una volta in posizione, il maschio introduce uno dei suoi due pterigopodi nella cloaca della femmina . L’inserimento dura pochi secondi o pochi minuti al massimo; durante questo tempo avviene la trasmissione dello sperma. Solo uno dei due pterigopodi viene usato per copula (destro o sinistro a seconda del lato su cui il maschio è affiancato alla femmina). Al momento della copula, una ghiandola basale del pterigopodio secerne un fluido denso ricco di lipidi e proteine, probabilmente per lubrificare il passaggio dello sperma lungo il solco del clasper ed evitare dispersione . Dopo l’accoppiamento, i due si separano: non vi è alcun legame di coppia stabile. Il maschio potrebbe cercare altre femmine, mentre la femmina gravida non si accoppierà nuovamente finché non avrà partorito e completato un nuovo ciclo estrale.
Gestazione: Le mante sono animali ovovivipari aplacentati (più propriamente definiti vivipari aplacentali: producono uova con tuorlo che si schiudono all’interno della madre, e il feto continua a svilupparsi nell’utero senza placenta). Dopo la fecondazione, l’embrione di manta si sviluppa all’interno di un sottile guscio membranoso nell’utero materno; una volta consumato il tuorlo, il piccolo manta continua a ricevere nutrimento attraverso un fluido uterino secreto dalla madre (una sorta di “latte uterino”, fenomeno chiamato istotrofia). La durata della gestazione nelle mante è tra le più lunghe tra i pesci: dura all’incirca 12–13 mesi . Questo lungo periodo è necessario a far crescere il feto fino a dimensioni notevoli: al momento della nascita, infatti, il piccolo manta ha già un’apertura alare di circa 1,3–1,5 metri . Durante la gravidanza, la femmina presenta un addome visibilmente gonfio – in particolare tra le pinne pettorali e le pelviche si nota un rigonfiamento, visto che normalmente il corpo delle mante è molto piatto . A differenza dei mammiferi, non esiste un cordone ombelicale né placenta; tuttavia l’embrione mantiene un movimento ritmico branchiale già nell’utero per ossigenarsi . Verso la fine della gestazione il piccolo manta si posiziona “ripiegato” a mo’ di involtino, con le pinne pettorali avvolte attorno al corpo (viene descritto come in posizione burrito), probabilmente per ottimizzare lo spazio nell’utero .
Parto: La femmina di manta partorisce in mare aperto, dando alla luce un solo piccolo per volta (la cucciolata è solitamente di un solo feto; in casi rarissimi sono stati segnalati gemelli). Il parto è un evento rapidissimo: la membrana ovulare si rompe e il piccolo manta esce dalla cloaca materna già formato. Appena espulso, il neonato – ancora con le pinne avvolte – si dispiega e in pochi secondi inizia a nuotare autonomamente, seguendo istintivamente la madre per un breve periodo o allontanandosi subito. Non esiste cura parentale prolungata: il neonato è praticamente una manta in miniatura, completamente indipendente e capace di nutrirsi di plancton fin da subito. Sono documentate pochissime osservazioni di parti di manta in natura (una celebre sequenza fotografica mostra un parto di M. alfredi avvenuto in acque costiere poco profonde). Più spesso, i neonati di manta rimangono avvolti nel mistero: si sa che per un po’ di tempo dopo la nascita tendono a essere elusivi e a restare in aree riparate (forse lagune o zone costiere tranquille che fungono da nursery). Alle Maldive, ad esempio, i giovani manta (con apertura <2 m) sono relativamente rari da avvistare: si ritiene che possano crescere nei pressi delle lagune interne di alcuni atolli ricchi di plancton e con pochi predatori, come la laguna di Maamunagau nell’atollo di Raa che pare funzioni da area di nursery per le mante di barriera.
Maturità sessuale e ciclo riproduttivo: Le mante hanno un tasso di riproduzione estremamente lento. Le femmine raggiungono la maturità sessuale tardi, indicativamente tra i 10 e i 15 anni di età (l’intervallo può variare in base alla disponibilità di cibo e alla crescita individuale, ma sicuramente le mante non si riproducono da giovani come molti pesci fanno). I maschi maturano un po’ prima, forse attorno ai 6–8 anni, come suggerito dall’età in cui gli pterigopodi raggiungono la piena lunghezza. Una volta mature, le femmine hanno cicli riproduttivi molto dilazionati: considerando ~1 anno di gestazione e probabilmente almeno 1–2 anni di intervallo per recuperare le energie, una femmina di manta potrebbe partorire al massimo ogni 2–3 anni nelle condizioni migliori. In molti casi, il periodo di riposo può essere ancora più lungo se le risorse scarseggiano o se la femmina non incontra maschi adatti. Ciò significa che, in media, ogni femmina durante la sua vita genererà pochissimi piccoli (forse meno di una dozzina in totale), un fattore che rende le popolazioni molto vulnerabili a perdite di esemplari adulti. I maschi, potendo potenzialmente accoppiarsi ogni anno se trovano femmine, non sono il collo di bottiglia della riproduzione; la limitazione sta nelle femmine e nel loro basso tasso riproduttivo.
Alle Maldive, la stagione degli amori delle mante di barriera pare concentrarsi nei mesi autunnali: osservazioni indicano picchi di attività di corteggiamento tra ottobre e novembre, quando in alcuni atolli (es. Raa, Baa) si sono visti gruppi fino a 20–30 maschi inseguire femmine in elaborate coreografie . Non a caso, questo periodo segue il culmine della stagione di alimentazione (settembre) e precede la stagione secca: le femmine gravide partoriranno dunque nell’autunno dell’anno successivo, prima dell’inizio di un nuovo ciclo di abbondanza planctonica, assicurando ai piccoli cibo sufficiente. Questo timing suggerisce un adattamento ai ritmi stagionali locali. Per le mante oceaniche a Fuvahmulah, invece, i dati sono ancora scarsi: i picchi di presenza ad aprile potrebbero correlarsi a eventi di accoppiamento o parto, ma sono necessarie ulteriori ricerche.
Longevità e riproduzione tardiva: La longevità delle mante gioca un ruolo importante nel ciclo vitale. Essendo longeve (come vedremo meglio nel prossimo paragrafo), le mante investono in riproduzioni dilazionate ma protratte nel tempo. Un esempio illuminante proviene da dati di foto-identificazione: una femmina di manta delle Hawaii, soprannominata “Big Bertha”, è stata identificata come adulta già nel 1979 e fu osservata incinta nel 2012, calcolando che avesse quasi 50 anni di età al momento della gravidanza . Ciò dimostra che le femmine possono continuare a riprodursi anche in età molto avanzata, ammesso che sopravvivano così a lungo. Questo è un aspetto positivo (un lungo periodo fertile con molte opportunità riproduttive), ma allo stesso tempo significa che se gli esemplari maturi vengono rimossi dalla popolazione (ad esempio per pesca), il reclutamento di nuovi nati si riduce drasticamente e servono decenni per recuperare i numeri.
Longevità e dinamiche di popolazione
Le mante sono tra i pesci cartilaginei più longevi: sebbene la determinazione dell’età non sia semplice (mancano ossa dure con accrescimenti annui evidenti, come le otoliti nei pesci ossei), studi indiretti e di marcatura suggeriscono che la loro aspettativa di vita possa raggiungere e superare i 40 anni . Alcuni esemplari monitorati a lungo termine fanno supporre che possano vivere anche 50 anni o più, in linea con l’osservazione della femmina quasi cinquantenne ancora riproduttiva citata in precedenza . Questa vita lunga è coerente con la strategia riproduttiva: le mante puntano su tante stagioni riproduttive diluite nel tempo, accumulando lentamente discendenti nel corso di decenni.
Nel valutare le dinamiche di popolazione delle mante, bisogna tenere conto di alcuni fattori chiave: la bassa fecondità (un piccolo per femmina ogni pochi anni), la maturità sessuale tardiva e la potenziale alta sopravvivenza degli adulti (in assenza di minacce). Questi parametri definiscono una popolazione a crescita intrinsecamente lenta. In condizioni ideali (nessuna mortalità da pesca, sufficiente cibo, pochi predatori) una popolazione di mante potrebbe aumentare molto lentamente, oppure mantenersi stabile con lievi oscillazioni legate alla variabilità ambientale. Purtroppo, negli ultimi decenni le attività umane hanno introdotto tassi aggiuntivi di mortalità che stanno mettendo a dura prova tali popolazioni, come vedremo meglio nella sezione successiva sulle minacce.
Predatori naturali: Da adulti, per la loro mole, le mante hanno pochi predatori naturali. Tuttavia non sono del tutto invulnerabili. Grandi squali come lo squalo tigre (Galeocerdo cuvier) e lo squalo leuca (squalo bulldog, Carcharhinus leucas), presenti anche alle Maldive, possono attaccare mante soprattutto se ferite o indebolite. Morsi di squalo sulla parte posteriore delle “ali” di mante sono stati documentati, indicando tentativi di predazione falliti (la manta spesso sopravvive con cicatrici semicircolari lasciate dai denti). Inoltre, le orche e altri odontoceti di grandi dimensioni sono noti predatori di razze e potrebbero occasionalmente cacciare mante in alcuni oceani. Alle Maldive gli avvistamenti di orche sono rari ma non impossibili, quindi non si esclude che possano costituire una minaccia sporadica. Più rilevante per i giovani manta è il rischio predatorio: un neonato o un giovane di 1–2 m potrebbe cadere vittima di grossi carangidi, squali di barriera o altri predatori opportunisti se non trova rifugio. Ciò rende importante per i cuccioli la scelta di nursery sicure (acque basse interne, lagune chiuse). In generale, comunque, la mortalità naturale degli adulti pare bassa: una volta superata la giovinezza, una manta ha buone probabilità di vivere molti anni se l’uomo non interviene.
Dati dalle Maldive: Le Maldive, avendo la più grande popolazione documentata di mante di barriera, forniscono un caso di studio notevole. Grazie al progetto Maldivian Manta Ray Project (MMRP) del Manta Trust attivo da oltre 15 anni, sono state raccolte oltre 76.000 foto-identificazioni e oltre 5.000 individui di M. alfredi sono stati riconosciuti e schedati . Questa ricchezza di dati ha permesso di stimare dimensioni e struttura della popolazione. La popolazione maldiviana di mante di barriera, forte di migliaia di esemplari, mostra una struttura sana con presenza di molti adulti riproduttori, una discreta proporzione di subadulti e qualche giovane (anche se questi ultimi sono meno avvistati). Si ritiene che il tasso riproduttivo locale consenta di mantenere il numero, ma è fondamentale che la mortalità aggiuntiva sia contenuta. Fortunatamente, le Maldive dal 2009 hanno proibito la pesca mirata delle mante , e diverse zone di aggregazione (come Hanifaru Bay) sono protette come riserve dove le mante non vengono disturbate dalla pesca o da traffico nautico pesante . Queste misure hanno probabilmente contribuito al mantenimento della popolazione. Si calcola comunque che mantenere 5.000 individui sia frutto di un equilibrio delicato: ogni femmina deve poter partorire più volte nella vita e i piccoli devono sopravvivere a sufficienza da rimpiazzare gli adulti morenti. Anche per le mante oceaniche alle Maldive abbiamo un quadro parziale: oltre 1.000 individui identificati attestano una popolazione significativa , ma la sua tendenza è meno chiara, poiché queste mante potrebbero subire mortalità altrove (ad esempio nelle acque internazionali o in paesi vicini senza protezioni). Va notato che a livello globale le popolazioni di M. birostris sono in calo in molti luoghi, proprio a causa di pesca intensiva; le Maldive forse rappresentano un rifugio dove questa specie ha ancora numeri discreti, ma dipende anche dalla connettività con zone pericolose come Sri Lanka (dove fino a 1000 mante oceaniche l’anno possono essere uccise dalla pesca ).
Fattori che influenzano la sopravvivenza: Oltre ai predatori e alla pesca (trattata a parte nelle minacce), altri elementi possono incidere. Ad esempio, la disponibilità di cibo: anni con minor plancton (magari per anomalie climatiche) potrebbero ridurre la condizione corporea delle mante, portare a meno gravidanze o a mortalità per debolezza. Cambiamenti ambientali come El Niño possono impattare la produttività e indirettamente le mante. Anche il disturbo umano subacqueo, se eccessivo, potrebbe avere effetti: se le mante vengono continuamente disturbate durante l’alimentazione o la pulizia da folle di turisti non regolamentati, potrebbero alimentarsi meno o abbandonare siti cruciali, con possibili ripercussioni sulla salute e sul successo riproduttivo. Per fortuna alle Maldive negli ultimi anni sono state introdotte linee guida di interazione (numero limitato di snorkelisti a Hanifaru, divieto di immersione con scuba in certe aree, ecc.), proprio per minimizzare stress e disturbo.
Resilienza vs. vulnerabilità: Le dinamiche di popolazione delle mante riflettono questa dicotomia: da un lato la loro longevità e l’ampio areale conferiscono una certa resilienza – possono superare periodi avversi e colonizzare nuove aree quando protette; dall’altro, la loro bassa fecondità le rende estremamente vulnerabili a over-sfruttamento e shock improvvisi (basta qualche anno di pesca intensiva per decimarne i ranghi, e poi servono decenni per riprendersi). Un classico esempio citato è quello dell’Indonesia, dove in alcune regioni la popolazione di mante è crollata di oltre l’80% in meno di un decennio a causa della pesca mirata, costringendo il governo a emanare misure d’emergenza e a creare un santuario delle mante nel 2014. Le Maldive, avendo agito in via preventiva, sono riuscite a mantenere una popolazione folta: rappresentano quindi un caso di successo relativo di conservazione, ma non privo di incognite sul lungo termine.
In conclusione, la longevità delle mante è la loro forza e al contempo la loro debolezza: consente a questi animali di stabilire popolazioni stabili se indisturbati, ma li espone a seri rischi se vengono uccisi a un ritmo più veloce di quello con cui rimpiazzano i propri membri.
Ecologia e ruolo nell’ambiente marino
Le mante svolgono un ruolo ecologico particolare negli oceani tropicali e subtropicali, in qualità di grandi organismi filtratori pelagici. La loro posizione nella rete trofica è a un livello intermedio: pur essendo pesci di notevoli dimensioni, non sono predatori apicali di altri vertebrati, bensì consumatori primari/secondari che si nutrono di alcuni dei più piccoli organismi del mare. In questo senso, le mante fungono da “collegamento vivente” tra il plancton (prede minuscole alla base della catena alimentare) e i piani trofici superiori. Nutrendosi di milioni di particelle planctoniche, accumulano energia che poi è a disposizione dei loro pochi predatori e scavengers quando una manta muore. Inoltre, con i loro spostamenti, come accennato, contribuiscono a trasferire nutrienti: ad esempio, una manta che si alimenta in acque ricche di plancton al largo e poi si sposta su una barriera corallina per farsi pulire, potrebbe rilasciare azoto e fosforo (tramite escrezioni) nell’ecosistema corallino, fertilizzandolo. Questo trasporto di nutrienti dal largo alle zone costiere è un servizio ecosistemico non facile da quantificare, ma potenzialmente significativo nelle regioni insulari oligotrofiche come le Maldive.
Un altro contributo ecologico fondamentale delle mante è di tipo regolativo sulle popolazioni planctoniche. Sebbene difficilmente una popolazione di mante possa esaurire il plancton (data la rapidità di ricambio di quest’ultimo), la loro predazione selettiva su certi aggregati di zooplancton può influenzare la composizione di specie locali e impedire eccessi (bloom) incontrollati di alcune specie di plankter. Ad esempio, consumando grandi quantità di larve di pesce e crostacei, le mante possono indirettamente modulare il reclutamento di quei gruppi e mantenere un equilibrio. In contesti come le baie poco ricircolate, la presenza di decine di mante che filtrano può prevenire fenomeni di iper-produzione organica che porterebbero a ipossia (in pratica “ripuliscono” l’acqua da un eccesso di particellato biologico, mantenendola più chiara e ossigenata). Naturalmente, queste funzioni ecologiche sono difficili da misurare e spesso passano inosservate, ma fanno parte del ruolo di questi animali nell’ecosistema.
Oltre al ruolo trofico, le mante sono anche habitat mobili per altri organismi. Almeno tredici specie di pesci e parassiti sono associate alle mante nelle Maldive . Tra questi vi sono i pesci pilota e i carangidi che talvolta accompagnano le mante per sfruttare i resti alimentari o l’ombra del loro corpo. Particolarmente importanti sono le remore (famiglia Echeneidae), pesci simbiotici che spesso si attaccano con il loro disco adesivo al ventre o alle pinne delle mante. In teoria le remore mangiano i parassiti della manta e i residui di cibo, e la manta offre loro trasporto e protezione: si tratta dunque di una simbiosi mutualistica classica. Tuttavia, studi recenti hanno evidenziato che le remore possono talvolta comportarsi da parassiti veri e propri, creando anche danni fisici: le ventose delle remore possono abrader la pelle della manta causando ferite e infezioni, soprattutto quando ne ospita molte contemporaneamente . Si sono documentati casi estremi di remore infilate persino nelle branchie o nell’ano della manta, con ovvi disagi per l’ospite . Nonostante questi effetti negativi possibili, la relazione manta-remora rimane un elemento ecologico caratteristico: le mante “portano con sé” un piccolo ecosistema di commensali e parassiti, e il loro benessere è legato anche all’equilibrio con questi autostoppisti. Un altro importante rapporto ecologico è quello con i già menzionati pesci pulitori sui reef: qui la manta è cliente di un servizio di pulizia, fondamentale per ridurre la sua carica parassitaria e mantenere la salute della pelle e delle branchie. Queste interazioni di pulizia rappresentano un caso lampante di mutualismo: le mante ottengono rimozione di parassiti e tessuti morti, i pesci pulitori ottengono nutrimento. L’“Underwater symphony” dei cleaning stations, come è stata definita, coinvolge decine di specie che si ritrovano in questi piccoli hotspot di biodiversità attorno alle mante . Curiosamente, nuove ricerche stanno esplorando persino l’aspetto acustico di tali interazioni: alle Maldive si è iniziato a registrare i suoni nei siti di pulizia per capire se le mante e i pesci comunichino anche acusticamente durante la pulizia – un ambito prima ignorato e che sta rivelando quanto siano vivaci (pieni di crepitii e ronzii) questi consessi subacquei. Ciò aggiunge un ulteriore livello alla comprensione ecologica delle mante: non solo elementi visibili della catena alimentare, ma anche nodi in reti ecologiche multisensoriali (olfattive, acustiche, comportamentali).
Un altro ruolo delle mante, più indiretto, è quello di essere specie bandiera e attrazione ecoturistica. Da un punto di vista strettamente ecologico, la presenza di mante attira naturalmente subacquei e snorkelisti, il che ha portato varie aree (come Hanifaru Bay) a essere dichiarate protette anche per tutelare le mante. La protezione di questi siti giova a cascata all’intero ecosistema: un’area istituita per salvaguardare le mante finisce per proteggere anche coralli, pesci di barriera, tartarughe e così via. In questo senso, le mante svolgono il ruolo di specie ombrello: conservando loro, si conservano molti altri organismi delle comunità marine. Alle Maldive, la designazione di riserve e parchi marini in zone di manta point ha sicuramente portato benefici generali all’ambiente marino locale .
Infine, non va trascurato l’aspetto culturale e socioecologico: in alcuni contesti le mante rivestono significati tradizionali (anche se alle Maldive non risultano forti radici culturali legate a esse, se non il nome locale En Madi e storie di pescatori). Tuttavia, oggi le comunità maldiviane vedono nelle mante un patrimonio naturale e una fonte di sostentamento economico attraverso il turismo sostenibile, il che crea un’importante connessione uomo-natura. La consapevolezza ecologica generata attorno alle mante si traduce in una maggiore attenzione alla qualità dell’ambiente marino (ad esempio, il problema della plastica che potrebbe essere ingerita da questi filtratori, o il disturbo barca in luoghi di alimentazione). Dunque, le mante fungono anche da indicatori ecologici: monitorando il loro stato di salute e i loro spostamenti, i biologi ottengono informazioni sulla disponibilità di plancton, sugli effetti del cambiamento climatico (es. se aumentano o diminuiscono in una zona, ciò può riflettere cambiamenti oceanografici) , e sulla presenza di minacce emergenti (ad esempio, se si trovano microplastiche nelle loro viscere, è un segnale dell’inquinamento in atto).
Conservazione e minacce
Negli ultimi anni le mante sono emerse come specie simbolo della conservazione marina, in parte grazie al loro fascino sul pubblico e in parte a causa delle crescenti minacce che ne minano la sopravvivenza. A livello globale, entrambe le specie di manta sono considerate a rischio: la manta di barriera (Mobula alfredi) è classificata come Vulnerabile nella Lista Rossa IUCN , mentre la manta oceanica (Mobula birostris) è addirittura Minacciata (Endangered) dopo un recente aggiornamento dello status. Ciò rispecchia il declino osservato in molte popolazioni, dovuto principalmente alla pressione antropica. Le minacce per le mante possono essere riassunte in alcune categorie principali: la pesca (mirata o accidentale), il degrado dell’habitat (inquinamento, cambiamenti climatici), il disturbo umano (turismo non regolamentato, collisioni con imbarcazioni) e altri fattori come l’ingestione di microplastiche o la vulnerabilità a malattie. Analizziamole in dettaglio:
Pesca mirata e commercio delle branchiospine: Negli anni 2000 è emerso un fiorente commercio internazionale delle branchiospine essiccate di mobulidi, spinte dalla domanda nei mercati orientali (in particolare in Cina) per l’uso in pseudo-medicine tradizionali. Questo commercio ha generato una pesca intensiva di mante e mobule in varie parti del mondo, dal Sud-est asiatico all’India, Sri Lanka e Africa orientale. Le mante, con la loro indole curiosa e aggregativa, sono prede facili per i pescatori: spesso si avvicinano alle barche o si radunano prevedibilmente in certi siti, e bastano reti o fiocine per catturarle mentre nuotano placide . Il risultato è stato devastante in alcuni luoghi: ad esempio, nelle Filippine e in Indonesia alcune popolazioni locali di manta sono crollate in pochi anni. Gli studi hanno stimato che migliaia di mante venivano uccise annualmente in paesi come Sri Lanka e India nei primi anni 2010 . Si parla di cifre nell’ordine di 1000 mante all’anno sbarcate in Sri Lanka e numeri simili altrove, ritmi che le popolazioni non possono sostenere. La consapevolezza di questo sterminio ha portato a iniziative internazionali: nel 2013 tutte le mante sono state inserite nell’Appendice II della CITES (che regola il commercio internazionale di specie minacciate), richiedendo controlli e certificati per l’esportazione di prodotti derivati . Successivamente, le mobule (specie minori affini) sono state aggiunte nel 2016. Molti paesi hanno risposto vietando la pesca delle mante: ad esempio Indonesia (2014) ha istituito un santuario nazionale per mante, le Maldive come detto hanno bandito la pesca già dal 2009 , l’Equador protegge le mante nelle Galápagos, il Messico e il Perù hanno introdotto tutele, ecc. Nonostante ciò, il bracconaggio e la pesca illegale persistono in diverse aree dove le regole sono deboli o i controlli scarsi. I grandi mercati di branchiospine a Guangzhou (Cina) sono stati ridotti ma non azzerati. Quindi la minaccia della pesca mirata non è del tutto sventata. Alle Maldive, fortunatamente, la pesca alle mante è proibita e non risulta praticata dalla popolazione locale (storicamente i maldiviani non consumavano carne di manta né ne usavano le parti, e oggi hanno interesse economico a tenerle vive per il turismo). Ciò fa delle Maldive una santuario effettivo per le mante: i dati del Manta Trust confermano che l’arcipelago funge da rifugio dove la mortalità antropica diretta è minima . Tuttavia, la vicinanza geografica a nazioni con pesca attiva (Sri Lanka, India) rende necessaria una cooperazione regionale per proteggere anche le mante oceaniche migranti.
Catture accidentali (bycatch): Anche quando non sono bersaglio intenzionale, mante e mobule spesso restano vittime delle attività di pesca su altri stock. Reti da posta derivanti, palamiti pelagici (longline) e grandi reti a strascico pelagiche per tonni possono intrappolare le mante, che avendo bisogno di muovere l’acqua sulle branchie soccombono rapidamente se impigliate e immobilizzate. Il bycatch di mante è un problema grave nelle pesche al tonno dell’Oceano Indiano e Pacifico, benché difficile da quantificare (spesso non registrato ufficialmente). Alcune stime suggeriscono che per ogni 100 tonni, almeno 1 mobulide viene catturato accidentalmente. Alle Maldive, per fortuna, la pesca industriale con reti derivanti e longline è praticamente assente (il Paese ha bandito la pesca con palamito di profondità nella sua ZEE e pratica principalmente pesca al tonno con canna individuale, metodo molto selettivo) . Questo è un altro punto a favore della conservazione locale: le acque maldiviane, prive di grandi flotte industriali, offrono un rifugio relativamente sicuro anche dal bycatch. A livello globale però la mortalità accidentale resta un serio fattore di declino per le popolazioni di mante, in particolare quelle oceaniche che incrociano rotte di tonniere.
Inquinamento e plastica: Come filtratori, le mante sono esposte al rischio di ingerire microplastiche e microfibre presenti nel plancton. Studi hanno rilevato presenza di plastiche microscopiche nel tubo digerente delle mante, specie in aree vicine a grosse fonti di inquinamento (ad esempio vicino a Indonesia o India). Le Maldive, pur essendo lontane da grandi centri industriali, purtroppo ricevono detriti marini portati dalle correnti oceaniche, e non sono immuni dalla plastica (i rifiuti locali e delle barche turistiche possono aggravare il problema). L’accumulo di microplastiche potrebbe causare danni subdoli: lesioni interne, blocco parziale dell’alimentazione o apporto di tossine chimiche (molte plastiche contengono additivi chimici o adsorbono inquinanti organici persistenti che poi rilasciano nell’organismo). Oltre alle microplastiche, c’è il rischio di intrappolamento in rifiuti come lenze, corde o reti fantasma: capita che qualche manta venga avvistata con cavi o reti impigliate sulle ali o sul corpo, causando ferite e potenzialmente limitando il nuoto. I subacquei del Manta Trust hanno in vari casi liberato mante da nylon o spaghi stretti attorno al corpo, salvandole da infezioni o amputazioni. Un mare pulito è dunque essenziale per la sicurezza delle mante.
Cambiamento climatico: Il riscaldamento degli oceani e le alterazioni dei regimi di correnti potrebbero avere impatti a cascata sulle mante, sebbene non immediati. Un oceano più caldo può significare una redistribuzione del plancton: ad esempio, se le correnti monsoniche dovessero indebolirsi o cambiare periodicità, le concentrazioni di plancton alle Maldive potrebbero variare, costringendo le mante a modificare le loro routine o a faticare di più per trovare cibo . Inoltre, eventi di bleaching (sbiancamento dei coralli) e la degradazione dei reef possono influire sulle stazioni di pulizia: se i coralli muoiono, l’habitat dei pesci pulitori cambia e potrebbe ridursi la loro popolazione, con potenziali effetti sulla disponibilità del “servizio di pulizia” per le mante. Anche l’acidificazione oceanica potrebbe colpire le comunità planctoniche di cui le mante si nutrono (alcuni plankter hanno gusci calcarei sensibili al pH). Insomma, il climate change aggiunge un livello di incertezza: le mante, in quanto specie migratorie, possono spostarsi, ma se l’habitat d’elezione (barriere coralline pulite, acque ricche di zooplancton) viene stravolto, potrebbero trovarsi in difficoltà.
Disturbo da attività turistiche e nautiche: Il crescente interesse turistico per le mante è un’arma a doppio taglio. Da un lato, come vedremo, ha portato benefici in termini di consapevolezza e pressione per la loro protezione. Dall’altro, se gestito male, può disturbare gli animali. Troppe barche attorno a un gruppo di mante in alimentazione possono dissuaderle dall’aggregarsi; snorkelisti o sub che le inseguono o toccano possono farle allontanare da un sito critico (con la conseguenza di perdere un pasto o una pulizia). In certi casi estremi, i turisti possono involontariamente ferire le mante con pinne o creando rumore e bolle eccessive sotto di loro . Alle Maldive si è riconosciuto il problema e sono state introdotte linee guida precise: ad esempio, a Hanifaru Bay vige un codice di condotta severo, con un numero massimo di persone in acqua, divieto di immersione con bombole, obbligo di mantenere distanze e di non usare flash fotografici, ecc. . Inoltre, si fanno workshop per i tour operator affinché istruiscano i clienti al rispetto (non toccare, non inseguire, non bloccare il percorso alle mante). Queste misure di turismo responsabile sono fondamentali per garantire che l’ecoturismo resti sostenibile e non diventi esso stesso una minaccia. Un’altra fonte di disturbo sono le collisioni con imbarcazioni: se una manta nuota in superficie (cosa che fanno spesso mentre si alimentano), può essere investita da motoscafi o eliche. Ciò può causare ferite gravi o la morte. Anche in questo caso, regolamentare le zone di manta ray snorkeling (limitando la velocità delle barche nelle aree note per la presenza di mante) è una misura adottata in alcune riserve maldiviane.
Passando alle misure di conservazione, c’è fortunatamente anche molto di positivo da sottolineare:
Protezione legale internazionale: Come detto, CITES Appendice II dal 2013 limita il commercio di parti di manta, e la Convenzione sulle Specie Migratorie (CMS) ha inserito le mante nell’Appendice I, richiedendo ai paesi firmatari di dare loro massima protezione. Questi strumenti creano un quadro di cooperazione globale, seppur dipendente dall’implementazione locale.
Aree Marine Protette (AMP) e santuari: Le Maldive sono state un precursore, istituendo divieti di pesca per mante e squali già dal 1995 (inizialmente per proteggere gli squali, poi esteso alle mante), con rafforzamento nel 2009 con un bando totale . Inoltre, specifiche aree come la baia di Hanifaru (Baa Atoll) sono state dichiarate riserve dove le mante sono protette dalla pesca e l’accesso turistico è regolato. Anche la laguna di Maamunagau (Raa) e altre mantas’ hotspot beneficiano di misure di tutela. A livello mondiale, altri santuari notevoli includono: l’Indonesia (tutta la ZEE è santuario mante), la Micronesia, le Galápagos (Ecuador), la Polinesia francese, il Messico (riserve a Revillagigedo e altri siti), l’Australia (tutela in alcune regioni) e diversi paesi che vietano la pesca di mobulidi nelle loro acque. È importante sottolineare che i santuari funzionano solo se vengono fatti rispettare: la sorveglianza e il coinvolgimento delle comunità locali sono determinanti per evitare bracconaggio.
Ricerca scientifica e monitoraggio: Progetti come il Maldivian Manta Ray Project del Manta Trust hanno mostrato come la ricerca possa andare di pari passo con la conservazione. Identificando ogni manta, tracciandone movimenti e abitudini, i ricercatori possono consigliare al governo dove istituire nuove AMP (ad esempio se si scopre un nuovo sito di aggregazione). Inoltre, la ricerca sul comportamento sociale, la genetica e l’ecologia delle mante fornisce dati per piani di gestione adattativi. Nel caso maldiviano, studi in collaborazione con l’Università di Bristol e altri enti stanno esaminando la connettività genetica delle popolazioni (per capire se quelle maldiviane sono isolate o scambiano individui con altre), nonché la tracciabilità isotopica delle loro migrazioni (analizzando isotopi stabili nei tessuti si può inferire dove si siano alimentate nei mesi precedenti) . Queste informazioni aiuteranno a proteggere meglio le mante oceaniche in futuro, ad esempio stimolando accordi regionali con Sri Lanka se si conferma che le mante di Fuvahmulah finiscono nelle loro reti. Anche l’utilizzo di tecnologie non invasive, come foto-ID (senz’altro la colonna portante finora) e recentemente i droni per contare mante dall’alto, sta migliorando la capacità di monitorare le popolazioni senza interferire con esse.
Educazione e coinvolgimento comunitario: Un elemento di grande importanza è educare e coinvolgere le comunità locali nelle Maldive. Progetti come il Manta Festival annuale a Baa Atoll, organizzato dal Manta Trust, portano centinaia di studenti maldiviani a conoscere da vicino le mante, tramite attività ludico-didattiche, snorkeling guidato e incontri con i ricercatori . Ciò ha l’obiettivo di ispirare le giovani generazioni locali a diventare custodi del proprio patrimonio marino. Inoltre, molti ex-pescatori o abitanti delle isole oggi lavorano come guide per il manta-watching: ciò crea un interesse economico diretto nel proteggere le mante, perché una manta viva può generare introiti turistici per migliaia di dollari nel corso degli anni, molto più di quanto varrebbe morta sul mercato. Uno studio ha stimato che globalmente il manta ray watching genera oltre 140 milioni di dollari l’anno in attività ecoturistiche , e che un singolo esemplare a livello locale può valere fino a 1 milione di dollari nell’arco della sua vita per l’economia locale . Questo concetto – spesso riassunto nello slogan “worth more alive than dead” – è stato un catalizzatore per spingere paesi come l’Indonesia a vietare la pesca, riconoscendo l’enorme valore del mantenere intatte le popolazioni di mante sia per l’ecosistema che per l’economia. Alle Maldive, dove il turismo è il pilastro economico, le mante rivestono un ruolo di primo piano nell’offerta ecoturistica; di conseguenza c’è un forte supporto a livello governativo e privato nel tutelarle.
Conclusioni e prospettive di ricerca
Le mante, maestos, si rivelano dunque creature di straordinario interesse biologico: dalla collocazione tassonomica particolare (grandi razze pelagiche filtratrici) alla morfologia adattata al nuoto e al filtraggio, dai comportamenti alimentari cooperativi ai rituali di accoppiamento unici, fino al ciclo vitale lento e alla sorprendente rete di interazioni ecologiche di cui sono al centro. Nel contesto delle Maldive, questi animali trovano un habitat privilegiato, ricco di plancton e relativamente protetto, che ha permesso a una popolazione numerosa di prosperare e di essere studiata come in nessun altro luogo al mondo. Abbiamo visto come le mante di barriera maldiviane vivano in un delicato equilibrio: seguono le maree stagionali del plancton, si radunano in stazioni di pulizia coraline, si accoppiano in acque calde e tranquille, partoriscono raramente e investono decenni nella loro discendenza. Parallelamente, le mante oceaniche gettano un ponte verso il vasto blu, ricordandoci che la conservazione non può fermarsi ai confini di un singolo paese ma deve essere globale.
Grazie a iniziative come il Manta Trust e la collaborazione di governo, comunità e scienziati, le Maldive oggi rappresentano una speranza per il futuro delle mante: un luogo dove questi animali sono protetti e monitorati, e dove la coesistenza tra l’uomo (turista o pescatore riconvertito) e la manta diventa modello di sostenibilità. Le storie di successo – come quella della 5000° manta identificata e “battezzata” dal pubblico , o del festival educativo che ogni anno avvicina i giovani maldiviani al mondo sommerso delle loro lagune – mostrano che un cambiamento positivo è in atto. E non solo alle Maldive: l’inclusione delle mante nelle agende di conservazione internazionali testimonia la crescente sensibilità verso questi giganti gentili.
Tuttavia, molte domande rimangono aperte e delineano prospettive di ricerca per il prossimo futuro:
Genetica e connettività: Non sappiamo ancora con certezza quanto le popolazioni di mante siano interconnesse tra loro a lunga distanza. Gli studi genetici in corso dovranno chiarire se, ad esempio, le mante maldiviane formano una metapopolazione isolata o se vi è scambio di individui con altri gruppi dell’Oceano Indiano. Questo è cruciale per definire unità gestionali e per capire la resilienza genetica (diversità) della specie. I primi risultati su M. birostris suggeriscono qualche connessione con l’area dello Sri Lanka, ma serve ampliare il campione.
Zone di nursery e primi anni di vita: Come accennato, uno dei misteri più grandi è dove crescono i giovani manta. Ad oggi non è stato identificato chiaramente nessun sito di nursery per mante di barriera alle Maldive (anche se la laguna di Maamunagau è candidata, in virtù della presenza di numerosi individui giovanili lì avvistati). Comprendere quali habitat fungono da “asilo nido” per le baby mante aiuterebbe a proteggerli specificamente. Ad esempio, se risultasse che certe lagune interne calme sono usate dai neonati, bisognerebbe salvaguardarle da inquinamento e disturbo. Lo stesso vale per le mante oceaniche: incredibilmente, nessuno ha mai documentato la nascita o un cucciolo di manta oceanica in natura . È possibile che partoriscano in mare aperto e che i piccoli vivano pelagicamente per anni prima di avvicinarsi alle coste; ma finché non si scoprono di più, questa fase vitale rimane vulnerabile e trascurata.
Comportamento e comunicazione: Le mante sono silenziose? Non necessariamente: i nuovi studi sonografici sui cleaning station potrebbero rivelare suoni emessi direttamente o indirettamente dalle mante. Al momento non ci sono evidenze di vocalizzazioni “intenzionali” come nei cetacei, ma chissà che non comunicino tramite schiocchi, sbattiti alari in superficie o altri segnali. Anche la funzione dei salti fuori dall’acqua resta ipotesi: merita indagine se questi balzi abbiano un ruolo sociale/comunicativo oltre che meccanico (rimozione parassiti). Inoltre, l’analisi delle reti sociali via foto-ID (chi si associa con chi e quanto spesso) sta dando i primi frutti, ma approfondire potrebbe svelare strutture sociali finora insospettate in questi pesci dal grande cervello.
Effetti del cambiamento climatico: Monitorare nel lungo termine le popolazioni di mante può farci capire come stanno rispondendo ai cambiamenti ambientali. Una domanda chiave: le mante maldiviane rimarranno se la temperatura dell’acqua salirà di 1–2°C? Potrebbe sembrare un piccolo aumento, ma il plancton potrebbe diminuire o spostarsi. I modelli climatici suggeriscono alterazioni nei monsoni: sarà vitale studiare se le mante modificheranno i loro schemi migratori (ad esempio apparendo in periodi diversi o in nuovi luoghi) e se la fenologia riproduttiva cambierà. Un altro aspetto è la resistenza alle malattie: acque più calde e stressate potrebbero facilitare patogeni. Al momento le mante sembrano robuste (salvo episodi di ferite da remore o funghi su lesioni cutanee), ma un occhio andrà tenuto sulla salute immunitaria.
Tecnologie di tracciamento avanzate: Finora alle Maldive l’uso di tag satellitari è stato limitato, anche perché il governo proibisce l’installazione di qualsiasi dispositivo invasivo o permanente su fauna marina (per non danneggiare né disturbare, come citato nell’articolo BBC Wildlife ). In altri luoghi, però, si sono applicati tag temporanei a ventosa per seguire mante in 3D (profondità, comportamento fine). Sviluppare tag non invasivi (ad esempio piccole sonde esterne che cadono dopo un po’) potrebbe fornire dati eccezionali su immersioni, rotte, preferenze ambientali (temperatura, salinità) e persino raccolta video POV del comportamento. Una sfida tecnologica che i ricercatori stanno affrontando.
Coinvolgimento socio-economico continuo: Sul fronte umano, è importante monitorare anche gli effetti del turismo sulle mante – in senso buono. Ad esempio, quantificare se la presenza di snorkelisti riduce il tempo di alimentazione di una manta e capire qual è il “carico massimo” di turisti che un sito può sostenere senza impatto. Questi studi di capacità di carico ecologica guideranno la gestione futura di siti come Hanifaru, che vedono popolarità crescente. Al contempo, ampliare i programmi educativi (come portare il Manta Festival in più atolli, o integrare la conoscenza delle mante nei curriculum scolastici maldiviani) è un obiettivo sociale cruciale per cementare la conservazione a lungo termine.
In definitiva, le prospettive di ricerca sulle mante maldiviane – e globali – sono ricche e interdisciplinari: vanno dalla biologia marina classica alla genetica, dall’ecologia comportamentale alla scienza della conservazione e persino all’economia ambientale (valutare i benefici economici di un ecosistema sano con mante rispetto ai costi di un suo degrado). Ogni nuova scoperta su questi animali ci aiuterà non solo a colmare la nostra sete di conoscenza sul mondo naturale, ma anche a prendere decisioni migliori per convivere in armonia con tali creature.
Le mante, in fondo, ci insegnano la meraviglia della biodiversità: animali enormi che filtrano organismi minuscoli per vivere, pacifici e intelligenti, capaci di compiere migrazioni epiche ma anche di tornare sempre allo stesso angolo di reef per farsi fare la “toeletta”. Simbolicamente, proteggerle significa proteggere un intero sistema di relazioni ecologiche e culturalmente significa scegliere la meraviglia e la sostenibilità al posto della miopia e dell’avidità. Il viaggio conoscitivo che abbiamo tracciato in queste pagine – dalla tassonomia alle prospettive future – evidenzia proprio questo intreccio tra scienza e responsabilità: conoscere le mante per conservarle. Le acque cristalline delle Maldive continueranno, speriamo, a ospitare per generazioni a venire le silhouette eleganti di questi giganti alati; starà a noi assicurare che quel volo silenzioso sotto le onde non venga mai meno, ma anzi continui a ispirare meraviglia e rispetto in tutti coloro che avranno la fortuna di incrociarlo.



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